Il Maestro

Mio nonno nacque nel 1912

Di suo padre solo un vago ricordo. Aveva 3 anni, lo accompagnò al treno quando nel ’15 partì per la guerra. Mio nonno raccontava di ricordarsi di quel momento  solo di una sensazione di disagio e di sua madre che piangeva. Da quella guerra, suo padre non tornò mai più.

Vivevano in un piccolo agglomerato rurale nell’interno dell’ appennino tosco emiliano (5 case di contadini) lontani almeno 15 km dal primo piccolo paesino.

Per una donna sola e senza lavoro è dura tirare avanti, poteva forse decidere di risposarsi e farsi mantenere da qualche scapolone, ma non fece così, preferì con dignità tirare avanti come poteva; una piccola stanza prestata dai contadini del posto e per mangiare si affidava ai regali dei vicini.

Tutto il resto era superfluo.

Mio nonno crebbe così tra stenti e povertà. La mattina all’ alba quando i contadini partivano per il lavoro nei campi, la mia bisnonna svegliava mio nonno perché riteneva giusto che anche se non avevano un lavoro, dovevano fare vedere ai vicini che non erano dei vagabondi; un senso di rispetto nei confronti di coloro che potevano e dovevano lavorare.

Appena mio nonno fu in età scolare, venne mandato in un seminario un po’ per studiare ed un po’ perché era l’ unico modo che gli garantisse un pasto ed un letto per dormire.

Mi raccontava di quando la mattina per lavarsi il viso, nell’ inverno spesso doveva spaccare la crosta di ghiaccio,,,,, aveva alcune parti dei lobi delle orecchie mancanti, persi proprio per i geloni dal freddo.

Mio nonno crebbe e divenne Maestro.

Ritornò in quei posti sperduti della sua infanzia e cominciò ad insegnare.

Piccole classi, pluriclassi, dove i bambini accedevano quando potevano, quando non dovevano lavorare nei campi.

Il Maestro non aveva un programma ministeriale, doveva solo cercare di ridurre l’ analfabetismo di quei posti.

Per l’ Italia quelli erano periodi duri: molti erano emigrati, i più fortunati in Europa, tanti in America e Australia.

Mio nonno spesso si vedeva arrivare a casa umili contadini che gli chiedevano di leggergli le lettere che arrivavano dai loro parenti emigrati, che gli chiedevano di scrivere due righe di risposta.

Non ha mai chiesto una lira in cambio, conscio dei tanti aiuti ricevuti nella sua difficile infanzia.

Spesso per contraccambiare i contadini gli regalavano due uova, un coniglio, insomma quello scambio etico dove ognuno ringrazia donando qualcosa che l’ altro non ha.

I tempi passano ed il Maestro era conosciuto e stimato da tutto quell’ ambiente rurale.

Il Maestro in questi posti fa anche un po’ da psicologo per i ragazzi che crescono. Il Maestro ed il prete erano gli psicologi dei poveri

Nel 1962 si compra la sua prima automobile, così la mattina presto il Maestro va a scuola, accende la stufa e poi con la macchina fa il giro delle campagne per prendere i bambini più lontani, poi li porta a scuola, e dopo la lezione spazza e sistema la classe, mentre i bambini fuori lo aspettano e giocano, Poi li rimette in macchina e li riporta alle loro case.

Il Maestro è una persona buona, stimato e rispettato da tutti.

I tempi cambiano, cominciano a nascere i servizi pullman per i ragazzi che devono frequentare la scuola, nelle scuole ci sono i bidelli per pulire le classi, e gli anni passano.

Mio nonno va in pensione, ma continua a vivere nell’ interno di quell’ appennino fino alla fine dei suoi giorni.

Sono passati ormai molti anni,ma ancora oggi quando passo da quei posti, qualcuno dei vecchi mi apostrofa come “il nipote del Maestro”.

Mio nonno era il Maestro

Mio nonno si chiamava Dante

Attori e coltellinai


In questo periodo covid evito il più possibile di frequentare i cinema.

Compenso lo svago serale con netflix.

Spesso vengo attratto da copertine o titoli accattivanti ma fatti con attori e registi sconosciuti.

Mi sono sempre auto-convinto dicendo, no dai, questo film deve essere figo anche se non ci sono attori di primordine. Puntualmente sono stato smentito, abbindolato dai classici specchietti per le allodole mi sono sempre trovato a vedere trame e recitazioni mediocri, più spesso di bassissimo livello.

Così per evitare ulteriori fregature mi ributto su film con attori famosi, su registi importanti , cast stellari, insomma meglio andare sul sicuro… un bel film con Rober De Niro e via!

Io penso che lo stesso possa valere per i coltellinai.

In questo mondo virtuale, i neo coltellinai  nascono come funghi, producono e vendono, sanno muoversi sui socia,l creano marketing accattivanti, foto filtrate o photoshoppate, ,insomma anche qui specchietti per le allodole.

Si fanno chiamare Maestro già dopo il quarto coltello, spesso non hanno mai affrontato il pubblico neppure di una prima mostra, e forse neppure mai faranno una mostra, gli basta stare su fb.

Non ci si può improvvisare coltellinai senza avere affrontato un percorso lungo spesso costellato di successi e di fallimenti, senza avere testato numerosi materiali, tipi di lavorazioni, insomma non esiste una scorciatoia se si vuole crescere verso più alti livelli.

Così  mi è venuto in mente il paragone tra attori e coltellinai. La gavetta deve essere sempre d’obbligo per qualsiasi attività, a maggior ragione se l’ attività contempla una vena più o meno artistica.

Non ci si improvvisa ne attori ne coltellinai.

E chi compra coltelli sperando di avere scoperto il Loveless del futuro è bene che sappia che di coltellinai del  calibro del mitico Bob ne è nato solo uno. Dubito ne nasceranno altri.

Finirà anche questo momento critico, vinceremo anche la pandemia.

Ricominceranno le mostre dove gli appassionati ed i collezionisti si incontreranno nuovamente ai tavoli dei coltellinai. Si potranno toccare i coltelli, valutare le finiture, ma soprattutto gli appassionati potranno farsi  raccontare dai maker come è nato quel coltello che ci sta prendendo il cuore. Ci trasmetteremo vibrazioni solo guardandoci negli occhi. Vedremo se all’ uscita di questa crisi i nuovi maker apparecchieranno i tavoli delle mostre, se avranno voglia ma soprattutto il coraggio di mettersi in gioco seriamente, presentandosi dal vivo e non dietro un monitor.

E gli appassionati che in questi mesi chiusi in casa non hanno resistito al fascino del nuovo maker Roberto De Nigro probabilmente si troveranno con in mano un pugno di mosche, o forse meglio dire con un brutto coltello, neppure facilmente rivendibile. Anche questa sarà esperienza per i futuri acquisti. Come dicevano i vecchi: l’ esperienza entra dalle ferite io aggiungerei dalle ferite ma anche dalle inculate.

Ci vedremo al più presto alle prime mostre, ed io ci sarò.

Stay safe and healthy.

Io sono della vecchia scuola.

Io sono della vecchia scuola.

E’ normale, non sono più un giovinastro…

Non è un pregio, è un dato di fatto.

Vengo da un modo di pensare diverso, da un monDo diverso.

Vengo da un vissuto musicale, dove i cantanti facevano la gavetta, cominciavamo a cantare in balere, feste di paese, discoteche di provincia, spesso con impianti di amplificazione molto scarsi, non adatti, ma si usava quello che si poteva. Non c’era l’ autotune, se stonavi non cantavi. Punto

Facevi tanta gavetta e solo se c’ era poi un riscontro del pubblico andavi avanti.

Portavi qualche musicasetta a pseudo-produttori e poi, ma solo poi, potevi ipotizzare di fare un primo disco. Se eri bravo ti entrava in testa  anche l ‘idea che potessi diventare una professionista. Facevi un lp all’ anno e cercavi di raccontare un tuo pensiero, un filo conduttore che negli lp futuri ti avrebbe portato a delineare la tua personalità, a crearti un tuo pubblico. Un percorso disseminato di  inciampi e tranelli, di persone buone ma anche di persone scaltre, e se non eri abbastanza furbo ti sfruttavano e ti buttavano via come una pezza usata.

Questa era la vecchia scuola. Così era per la musica, per tutto, così è anche per i coltelli,.

Quando mi avvicinai al mondo della coltelleria (quasi 15 anni fa), fu la stessa cosa.

Mi informai comprando qualche libro di tecnica, tutti rigorosamente in Inglese. Iniziai a fare qualcosa che potesse avere la parvenza un oggetto tagliente. Ti ispiri a coltellinai famosi e piano piano, per approssimazione crei una tua idea di coltello. Questo sempre nell’ottica di una passione, di un divertimento, e comunque con l’ intento di voler esprimere un proprio concetto o pensiero.

Se poi i coltelli  piacciono non solo a te ma anche ad altri, puoi pensare di venderne qualcuno, solo per recuperare un po’ di spese, per prendere quattro soldi da reinvestire in nuovi materiali o attrezzature.

La cosa è andata avanti, la passione è aumentata, anche le richieste, ed allora provi a pensare più in grande, ti fai fare un sito dove postare le foto dei tuoi lavori. Cominci a fare mostre, a metterti in gioco, a capire se i commenti positivi che ti fanno sui forum ( non c’erano i social) si trasformano anche in volontà di acquistare un tuo pezzo. Piano piano

Ti viene poi voglia di entrare in un mondo più grande. Vai all’ estero, frequenti associazioni, dai esami, ti senti orgoglioso di essere “uno di loro”. Quelli della vecchia guardia facevano così, crescevano un poco alla volta, maturavano poco a poco, avevano consapevolezza che la strada era lunga e in salita e, permettetemi di dire, avevano anche più umiltà.

A distanza di pochi anni tutto è cambiato. I social, la rete che ti permette di accedere ad un mondo di informazioni in tempo zero. La possibilità di contattare tutti e tutto, in una sorta di contaminazione senza più regole, uno sviluppo entropico. Puoi crescere più velocemente, devi  farlo, devi stare al passo di una ruota che gira ad una velocità che non sei più tu a gestire. Devi corrergli dietro a ritmi che non sono i tuoi.

Così non è più importante il “cosa sai fare”, il tuo sapere, la tua esperienza. Oggi è solo importante il “come lo presenti”. L’ immagine è tutto.

L’ immagine ha sopraffatto l’ oggetto reale.

Nascono così coltellinai che in pochi mesi si sentono già al top, hanno migliaia di persone che li seguono, una pagina dedicata. Spesso prima creano la pagina e poi iniziano a fare coltelli ….

Coltellinai che nascono e muoiono come farfalle, a volte non arrivano nemmeno a diventare farfalle… muoiono ancora bruchi. Un mulinello di informazioni , di immagini.

Un imbuto cosmico dove risucchia tutto e tutti.

Io sono della vecchia scuola.

E’ normale, non sono più un giovinastro…

Non è un pregio, è un dato di fatto

Ho contato i miei anni

Ho contato i miei anni – Mario de Andrade

“Ho contato i miei anni ed ho scoperto che ho meno tempo da vivere da ora in avanti, rispetto a quanto ho vissuto finora…
Mi sento come quel bimbo cui regalano un sacchetto di caramelle: le prime le mangia felice e in fretta, ma, quando si accorge che gliene rimangono poche, comincia a gustarle profondamente.
Non ho tempo per riunioni interminabili, in cui si discutono statuti, leggi, procedimenti e regolamenti interni, sapendo che alla fine non si concluderà nulla.
Non ho tempo per sopportare persone assurde che, oltre che per l’età anagrafica, non sono cresciute per nessun altro aspetto.
Non ho tempo, da perdere per sciocchezze.
Non voglio partecipare a riunioni in cui sfilano solo “Ego” gonfiati.
Ora non sopporto i manipolatori, gli arrivisti, né gli approfittatori.
Mi disturbano gli invidiosi, che cercano di discreditare i più capaci, per appropriarsi del loro talento e dei loro risultati.
Detesto, se ne sono testimone, gli effetti che genera la lotta per un incarico importante.
Le persone non discutono sui contenuti, ma solo sui títoli…
Ho poco tempo per discutere di beni materiali o posizioni sociali.
Amo l’essenziale, perché la mia anima ora ha fretta…
E con così poche caramelle nel sacchetto…
Adesso, così solo, voglio vivere tra gli esseri umani, molto sensibili.
Gente che sappia amare e burlarsi dell’ingenuo e dei suoi errori.
Gente molto sicura di se stessa , che non si vanti dei suoi lussi e delle sue ricchezze.
Gente che non si consideri eletta anzitempo.
Gente che non sfugga alle sue responsabilità.
Gente molto sincera che difenda la dignità umana.
Con gente che desideri solo vivere con onestà e rettitudine.
Perché solo l’essenziale é ciò che fa sì che la vita valga la pena viverla.
Voglio circondarmi di gente che sappia arrivare al cuore delle altre persone …
Gente cui i duri colpi della vita, abbiano insegnato a crescere con dolci carezze nell’anima.
Sí… ho fretta… per vivere con l’intensità che niente più che la maturità ci può dare.
Non intendo sprecare neanche una sola caramella di quelle che ora mi restano nel sacchetto.
Sono sicuro che queste caramelle saranno più squisite di quelle che ho mangiato finora.
Il mio obiettivo, alla fine, é andar via soddisfatto e in pace con i miei cari e con la mia coscienza.
Ti auguro che anche il tuo obiettivo sia lo stesso, perché, in qualche modo, anche tu te ne andrai…

Il telefono

Quando ero bambino io, il telefono era un lusso.

Non tutte le famiglie ne avevano uno e comunque ogni famiglia al massimo … uno ne aveva.

Oggi è diverso,il telefono non è più un oggetto della famiglia, oggi il telefono è diventato personale.

Quando ero bambino io, il telefono era un lusso…. a volte era bloccato da un lucchetto e si poteva solo ricevere. Per fare una telefonata, una comunicazione si doveva avere motivi reali. Telefonavi se avevi qualcosa da dire, qualcosa di importante.

Chiamavi dopo un lungo viaggio per dire che eri arrivato:

“Ciao, tutto bene siamo arrivati in campeggio, ci sentiamo la prossima settimana. Ciao” e buttavi giù.

Chiamavi per avvisare i parenti di un lutto:

“Ciao zia Rosina, ti chiamo per dirti che nonno ci ha lasciato…”

appena la zia tra pianti e preghiere cominciava a ricordare la vita del povero nonno, tu subito la fermavi:

“Zia Rosina, devo avvisare anche gli altri parenti, per cortesia dillo tu a Giovanna e Renzo che stanno vicino a te e non hanno il telefono. Ciao ciao.”

 

Il telefono nasceva dall’ evoluzione del telegramma e quindi lo stile restava di tipo “telegrafico”, un pò per lo stile intrinseco ma soprattutto perchè le telefonate costavano e di soldi ce ne erano pochi.

Solo Vip e Signori potevano permettersi di chiacchierare (oggi chattare) al telefono.

Oggi è cambiato, non esiste più la magia della cornetta, la magia di una voce amica, conosciuta, che ti arriva in tempo reale dall’ interno di quello strano congegno. Oggi è diverso, non esiste più neppure la cornetta.

Nell’ evoluzione del telefono oggi con questo strano congegno non si parla più nemmeno oggi ci si scrive… ci si uozzappa ….

Il miracolo che ci aveva dato il vecchio telefono di ascoltare la voce in tempo reale si è nuovamente perso. Siamo regrediti e tornati a scriversi ma per esigenze diverse.

Lo scriverci oggi è un esigenza di egoismo. L’ egoismo che predomina in ognuno di noi e per il quale non abbiamo più tempo di dedicare tempo ad un amico quando ce lo chiede, oggi il tempo egoisticamente lo dedichiamo quando vogliamo noi. “Ora non posso, ti faccio sapere, ci sentiamo dopo…”

 

Per me che sono nato in quel periodo dove il telefono era un vero mezzo di comunicazione non riuscirò mai allo squillo di un parente o di un amico rispondere:

Ti chiamo dopo” senza aver prima chiesto il motivo della telefonata, senza prima aver detto” Che è successo?”     Perchè se uno mi telefona un qualcosa da dire lo deve avere …

Così è per me, se faccio una telefonata, un motivo evidentemente ce l’ ho, non sarà questione di vita o di morte, ma cavolo, uno straccio di motivo ci sarà, una necessità di comunicare un qualcosa …

E se il motivo fosse veramente importante?

Se fosse davvero questione di vita o di morte?

Se mi trovassi solo, agonizzante a terra con un infarto in atto?

Che faccio? Chiamo il 118 o provo a sentire per l’ ultima volta la voce dei miei cari?

Deciso! Chiamo le mie figlie.

Nessuna mi risponde ma subito dopo la chiamata mi arriva di risposta il suono del messaggio:

” Babbo ora non posso ti chiamo dopo”

Allora chiamo mia moglie. Il telefono suona a lungo ma non ho nessuna risposta. Resta solo il dubbio se se lo sia dimenticato al lavoro, in macchina o alla cassa della coop. Poi capisco: è lunedì e probabilmente il telefono è ancora in modalità silenziosa dal giorno prima, da quando è andata a messa.

Beh, che fare, mi sono giocato male le mie carte, forse era meglio chiamare il 118, ma ormai è tardi, mi resta solo il tempo di mandare un messaggio

Gruppo -Famiglia – scrivo al volo con le ultime forze – Invio

Ai miei famigliari non resterà la voce dei miei ultimi momenti ma solo un messaggio su Whatsapp

“Ma andate in culo, cosa lo tenete a fare il telefonino se tanto non rispondete mai! E ora fatevi lo screenshot da far vedere al funerale vai …. Un abbraccio il vostro caro”

Ho visto cose che voi umani…


Ho visto un anziano solo….

Ho visto responsabili quasi analfabeti parlare di Mission e di Vision. Di prospettive future, quando non sanno neppure gestire il presente

Ho visto sindacati che invece di difendere gli operai andavano a mediare con le direzioni, per poi raccontare ai lavoratori che tutto sommato non ci si poteva fare niente per aiutarli.

Ho visto gli stessi sindacati poi andare a cena con i dirigenti dell’ azienda

Ho visto un bimbo piangere per la morte del suo cane, poi il bimbo è cresciuto e le lacrime non uscivano più neppure par la morte degli uomini

Ho visto un uomo cominciare a fumare perché non aveva le palle per farla finita…

Ho visto giovani di cuore e capaci, farsi soffiare il posto da giovani scaltri e ruffiani

Ho visto gli stessi giovani di cuore andare a vivere in un altro paese, ed i giovani ruffiani e lecchini rovinare un intero paese

Ho visto rinascere il periodo degli spioni fascisti, e fascisti che si ricordavano bene come fare il loro lavoro

Ho visto un padre di famiglia piangere il figlio morto e continuare a domandarsi perché era toccato a suo figlio e non  a lui

Ho visto amici starmi vicino quando ne ho avuto bisogno, pochi, ma c’erano…

queste sono cose che per fortuna possiamo vedere NOI umani.

“PETTINARE IL PAZIENTE” : UN VALORE AGGIUNTO?

Pettinare il paziente in ospedale è da considerarsi un valore aggiunto e non è da disprezzare Dobbiamo creare le condizioni ambientali e relazionali più giuste e idonee per attuare un efficace intervento riabilitativo.

Ecco.

Entriamo nella camera di un paziente operato da pochi giorni ad un ginocchio o ad un’anca:il suo ginocchio, la sua anca. Ha dolore, ha paura di muoversi. Oppure entriamo nella camera di un paziente che improvvisamente ha perso l’utilizzo di una parte del suo corpo. E’ sperso, impaurito. Lo troviamo seduto in poltrona o sdraiato nel letto senza mutande o con un pannolone, coperto da una traversa, il più delle volte in disordine, spesso con il pigiama macchiato. Si potranno sentire imbarazzati, a disagio, per questa loro condizione poco dignitosa? Se sono donne poi………….

Arriviamo noi. Forti della nostra sapienza professionale, col mandato di valutare la loro capacità di muoversi, stare in piedi e camminare e sicuri che con le nostre indicazioni il paziente riuscirà nell’obbiettivo che noi ci siamo prefissati. Il fatto è che abbiamo bisogno della sua collaborazione, abbiamo bisogno della sua motivazione, dobbiamo tranquillizzarlo, fare in modo che abbia fiducia in se stesso e il primo passo è che si riappropri di un minimo di dignità passando dall’essere presentabile……..e i capelli sono la cosa più semplice da sistemare. Ecco perche il terapista che, oltre a fare il suo lavoro di presa in carico riabilitativa e di valutazione funzionale del paziente in ospedale, riempire tutti i moduli che la burocrazia impone, caricare le prestazioni sul computer….. etc….etc , si preoccupa anche del paziente non è da disprezzare.

Magari sono da considerare carenti, ma ugualmente capaci professionalmente, i colleghi che non ritengono importanti questi aspetti

By Kiara

Vai, te l’ appoggio!!!


Felice e ben figurata locuzione di largo uso toscano assai usata in ambito livornese atta ad indicare fiducia nel lavoro che sta facendo una persona.

Riporre fiducia, condivisione dell’ operato,  pleonastico illustrarne il significato.

Incitazione atta a condividere un operato.

Sovente usata tra due amici, difficilmente la frase viene rivolta da un amico ad un’ amica in quanto il doppio senso potrebbe creare imbarazzo o in alcuni casi essere recepita come una proposta a notti sfrenate.

In ambito lavorativo, quando tal frase raramente o mai viene pronunciata tra colleghi è sinonimo di scarso piacere al lavoro e comunque di non condivisione dell’ operato, o come si dice oggi di una “mission e vision” …. non condivisa. Punti di vista diversi o incomprensione nel “chi siamo e dove stiamo andando”?

Mah, forse semplicemente scarsa o punta fiducia nel chi guida la baracca.

Magari importante riflessione per i superiori che mai si sentono rivolgere tale frase….. forse un motivo ci sarà. Anche perché poi  tra colleghi il commento più comune riferito al proprio capo potrebbe essere:

“lu lì e un si sa levà neanche un dito dar culo”.

 

 

Tecumseh indiano della tribù degli Shawnee disse:

“Vivi la tua vita in maniera tale che la paura della morte non possa mai entrare
nel tuo cuore. Non attaccare nessuno per la sua religione; rispetta le idee
degli altri, e chiedi che essi rispettino le tue. Ama la tua vita, migliora la
tua vita, abbellisci le cose che essa ti da. Cerca di vivere a lungo e di avere
come scopo quello di servire il tuo popolo. Prepara una nobile canzone di morte
per il giorno in cui ti incamminerai verso la grande separazione. Rivolgi
sempre una parola od un saluto quando incontri un amico, anche se straniero, in
un posto solitario. Mostra rispetto per tutte le persone e non umiliarti
davanti a nessuno. Quando ti svegli al mattino ringrazia per il cibo e per la
gioia della vita. Se non trovi nessun motivo per ringraziare, la colpa giace
solo in te stesso. Non abusare di niente e di nessuno, perché farlo cambia le
cose sagge in quelle sciocche e priva lo spirito delle sue visioni. Quando
arriverà il tuo momento di morire, non essere come quelli i cui cuori sono
pieni di paura, e quando arriverà il loro momento essi piangeranno e
pregheranno per avere un ‘altro poco di tempo per vivere la loro vita in
maniera diversa. Canta la tua canzone della morte e muori come un eroe che sta
tornando alla casa.”